domenica 16 maggio 2010

Tutti al cantiere!














Beh, il calendario dice 16 di maggio.

Ne è passato del tempo dalla nostra ultima apparizione via web!

Il fatto è che a fine marzo due su tre dei nostri computer, stesso identico modello anche se comprati quando ancora neanche ci conoscevamo, dopo dieci anni di onorato servizio tra università e lavori vari, ci hanno abbandonato praticamente all’unisono.

E poi eravamo così presi da questa frenetica fine d’estate subequatoriale che ci è venuto naturale tenere a distanza qualsiasi tecnologia ed abbandonarci ancor di più alla nostra vita scalza, scandita solo dai flussi delle maree e dal succedersi degli equinozi.

Ora abbiamo finalmente installato word sul terzo pc e, dei due portatili, con una operazione degna del dr. Frankenstein ma più modestamente affidata al buon Tony che di cognome fa “Informacica” come si dice da queste parti, ne abbiamo ricavato uno apparentemente funzionante.

Metteteci poi che mia madre, con sprezzo del pericolo, ha iniziato un corso per imparare ad utilizzare questi marchingegni ipercomplessi, rendendomi davvero orgoglioso e felice.

Ed in più, con l’arrivo delle piogge autunnali, torna anche il piacere di starsene a casa con una tazza di caffè affianco alla tastiera, a raccontare, per chi ne avesse la curiosità, come ce la passiamo da queste parti.

Il primo pensiero che sfugge dalle meningi è la conferma del fatto che il tempo non è uguale ovunque e che, in un certo qual modo, ciascuno di noi è l’orologio di sé stesso.

Non è che un’ora, a queste latitudini,duri 120 minuti, sia ben chiaro.

E tuttavia già solo quelle cose, peraltro non eccezionali, che abbiamo fatto o che ci sono capitate in questi ultimi due mesi, probabilmente, quando regolavamo il nostro orologio bioritmico sul fuso orario patrio, non sarebbero bastati due anni per vederle accadere.

Il nostro piccolo e colorato bungalow ha registrato varie e gradevoli presenze e ci ha offerto l’opportunità di stringere nuove amicizie e di fare piacevoli conoscenze; in più sull’isola sono transitati amici ed amiche d’oltreoceano che non vedevo da tempo, neanche quando vivevamo a pochi kilometri l’uno dall’altro ed insomma la compagnia non ci è mancata.


Non sono mancati neanche malanni ed acciacchi:

Io, dopo essermi fracassato il dito mignolo del piede sinistro a causa di una samba un poco ardita con una nostra amica che è un caterpillar, ho iniziato a prendere antiinfiammatori per circoscrivere il dolore e così non mi sono reso conto, essendo sempre mezzo anestetizzato, che mi stava andando a fuoco un’orecchia a causa di un’infezione o qualcosa del genere, fatto sta che da un mese mi porto appresso un’otite e da non so quanto non mi faccio un bagno a mare in libertà. L’infiammazione in corpo ed i medicinali che sto prendendo, ovviamente, mi hanno garantito una quindicina di stiramenti muscolari e di ematomi ad ogni colpo rimediato jogando capoeira.

Poi, visto che c’ero, ho fatto un salto a Salvador per un paio di giorni ma sono capitato in un ostello con i letti infestati di pulci del materasso di quelle che, per intenderci, trovi pressoché in tutte le case londinesi compartite da studenti e lavoratori stranieri. Sono fuggito in fretta e furia ma ho comunque passato la settimana successiva a grattarmi contro la corteccia delle palme ed a scorticarmi vivo.

Giancarla, per non essere da meno, è caduta tentando di incastrare un ventilatore in cima ad un armadio e si è giocata per una ventina di giorni l’alluce destro, tutto bello pisto di sangue; a seguire, si è presa un paio di influenzette tanto per gradire: è bellissima anche mentre vomita nel water e nelle brevi pause tra uno spasmo e l’altro, solleva il capino, scosta i capelli, mi guarda sconvolta e mi (si) rassicura sul fatto che per fortuna sta male e non è che è incinta .

Ad oggi comunque, facendo i debiti scongiuri, sembriamo essere sulla via della guarigione e di sicuro non ci lamentiamo.

Fortunatamente un attimo prima che cominciasse questa concatenazione di piccole sciagure, abbiamo sostenuto il “Batizado di Capoeira”!

Questo evento, che meriterebbe un post intero tanto è stato importante per noi, consiste nella festa della nostra Scuola di Capoeira e costituisce l’occasione per conferire agli alunni le corde che indicano la graduazione del capoerista e per suonare e cantare insieme le musiche che accompagnano la lotta/danza/gioco e insomma celebrare la tradizione e l’amore per questa magnifica lotta brasiliana.

Nel corso della cerimonia, che solitamente si ripete ogni due anni,i vari alunni della scuola, a partire da quelli di tre anni fino ad arrivare agli adulti, combattono contro vari “Mestre” e “Professores”, mettendo in mostra quanto hanno imparato di questa antica arte marziale.

All’esito della prova, e se questa è stata soddisfacente, all’alunno viene cosegnato il “cordao”, da legare in vita, il cui colore indica la graduazione del capoerista.


L’avanzamento al grado superiore non è per nulla scontato. Anzi non è raro che un praticante poco preparato, in occasione del Batizado, si veda ridurre di categoria, almeno fino a quando non si sia riportato ad una forma sufficientemente dignitosa per il colore del cordone che indossava.


C’è un alunno di Mestre Dedè, il fondatore della nostro Gruppo nel lontano 1973, che si allena da qualcosa come 25 anni ma con tanta discontinuità che è ancora cintura verde-amarella, cioè la seconda corda.


Mestre Dedè è semplicemente incredibile: avrà 65 anni, viene alimentato a birra gelata, fa lo scaricatore al porto di Salvador, alla sua età gioca una capoeira divertente ed efficacissima, in 4 giorni al Morro (giorni di sport,non dimentichiamocelo) ha fatto due volte nottata ed ha animato ogni singolo evento, dall’allenamento che precede il Batizado al banchetto che lo chiude. Un personaggio con cui non potevo non stringere immediatamente una cameratesca amicizia.


Tuttavia uno che, quando si tratta di Capoeira, non fa sconti.


Poco male per noi che, essendo al nostro primo Batizado e non avendo alcuna graduazione da perdere, tutto quello che ci sarebbe potuto accadere sarebbe stato ,al massimo, che decidessero di lasciarci implumi fino al prossimo evento di questo tipo.


Poco male per noi che, essendo al nostro primo Batizado e non avendo alcuna graduazione da perdere, tutto quello che ci sarebbe potuto accadere sarebbe stato ,al massimo, che decidessero di lasciarci implumi fino al prossimo evento di questo tipo.

Ed invece ce l’abbiamo messa tutta per portare in alto gli sbiaditi colori nazionali e, nonostante le primavere che aumentano ed i vizi che non accennano a diminuire, siamo comunque riusciti a far brillare un poco i nostri volti dal colore inconsuetamente pallido qui nel cuore della Bahia più nera ed africana che ci sia, quella dove la capoeira è nata e dove noi siamo venuti per imparare.


Lo dico con franchezza, è stata una delle soddisfazioni più belle che ricordo di aver vissuto in vita mia. Il combattimento è andato bene oltre le aspettative e quella che abbiamo percepito da parte di tutti coloro che poi si sono venuti a complimentare, è stata una forte sensazione di affetto e di rispetto per i nostri sforzi.

Siamo stati appunto battezzati e siamo entrati ufficialmente a far parte del glorioso Gruppo Kilombolas, orgogliosamente cinti da uno sfavillante cordone verde.


La festa, che di questo stringi stringi si tratta, è andata benissimo: da Salvador sono arrivati alcuni tra i migliori mestre di questa antica disciplina e, tra questi, molti appartenenti al nostro Gruppo, uno dei più antichi in Bahia e quindi al mondo; il tempo ci ha aiutato donandoci due giorni meravigliosi di sole contrariamente a quanto accadeva in tutto il resto dello stato, flagellato dalle piogge, e dopo i combattimenti ed i canti tradizionali, si sono aperte le libagioni e le danze.


In occasione delle quali mi sono per l’appunto scardinato una falange.


Basti dire, per dare un’idea del clima, che la maggior parte dei capoeristi, che pure sono solitamente veri atleti, sa decisamente apprezzare i piaceri della vita, soprattutto quelli in forma liquida. Aggiungete che qui pressoché tutti, ma in special modo i capoeristi, sanno suonare almeno tre o quattro differenti strumenti musicali, che un samba tira l’altro ed ecco che ci vuol poco a far mattino; tuffo a mare e sonnellino rapido che a mezzogiorno è cominciato un modesto churrasco (grigliata) di qualche quintale di carne rossa ristoratrice all’interno della mitica “fabbrica del ghiaccio” del buon Chico, indomito capoerista semiprincipiante, abbastanza agè e discretamente sovrappeso. L’oste perfetto insomma.

E via di questo passo.


E con questa siamo ad inizio aprile..

Beh ce ne sono di cose da raccontare ma senza dilungasi altrettanto!
Come già annunciato con un secco video- proclama, abbiamo affittato quel posto meraviglioso che fino ad ora si è chiamato EL SITIO e che ben presto avrà un altro nome. Come da programma, con una calma che mette in imbarazzo perfino gli stessi bahiani, abbiamo cominciato la ristrutturazione del luogo a nostra immagine e somiglianza e per fare questo abbiamo deciso di coinvolgere solo artigiani e lavoratori del posto e, tra questi, vari amici conosciuti durante la gestione della pousada o in questi ultimi mesi qui al Morro.



Ed allora via in giro per la terra ferma a comprare legname, teglie, cemento, a contrattare trasporti e consegne, a mettere in fila conti e note spesa.
E poi aprire ufficialmente il cantiere.


E’ veramente divertente starsene a spremere la fantasia per cercare di inventarsi il locale, trovare soluzioni agli intoppi, scatenare l’immaginazione lungo sogni tanto irrealistici quanto spesso fondamentalmente irrilevanti.


Soprattutto mentre gli altri lavorano.

Nel senso che abbiamo questa squadra di ragazzi che, oltre ad essere persone a modo, vanno come dei treni e quindi la mia presenza nel vivo dell’opera appare superflua.

Ed allora, nel solco tracciato dal buon Jerome K. Jerome, posso dar spazio alla mia sentita e sincera adorazione per il lavoro.

Appunto comodamente assettato sulla spiaggia antistante il locale.

E non pensiate che questo possa infastidire i ragazzi! A loro non interessa un gran che quel che faccio; credo mi trovino buffo ma simpatico. E comunque a metà giornata mi presento spesso con qualcosa di fresco da bere che almeno che sono stronzo non possono dirlo.


Ma ci sarà tempo per raccontare quello che stiamo cercando di mettere su e delle innumerevoli vicende che, come d’altro canto ci aspettavamo, stanno costellando questa tutto sommato piccola opera di riforma.

Anche perché, pur trattandosi della nostra futura casa e del nostro prossimo lavoro, questo è nulla se visto accanto all’accadimento che più di ogni altro, ultimamente, ha sconvolto le nostre già samberecce esistenze.

Eh sì, perché in tutto questo marasma dicevo comunque a Giancarla di quanto tranquillo, in sostanza, fosse il declinarsi degli eventi e di come, alla fin fine, le nostre vite, decisamente accomodatesi da un po’ di tempo a questa parte, non avessero nulla da temere quanto a serenità, visto che il sensibile aumento degli impegni non era riuscito a turbarle più di tanto.


E quale accidente mai avrebbe a quel punto potuto mettere in subbuglio l’armonia faticosamente conquistata?


Appunto dimenticavo la mia stessa interlocutrice nonché compagna, apparentemente normale in questa foto.


Ed ovviamente il suo bis -pensiero circa la maternità che, se da un lato (e cioè quello del letto dalla cui parte dormo io) rappresenta una chimera lontana che ci attende alla nostra prossima giovinezza intorno ai quarant’anni, dall’altro è una esigenza incomprimibile che la mente della mia dolce femmina non può pretendere di scacciare facendo perno unicamente sulla mia presunta inadeguatezza paterna.



Una siffatta compressione determina inesorabilmente l’insorgenza di patologie chiaramente riferibili al nodo in oggetto: solo che Giancarla, invece di somatizzare il tutto con una bella gravidanza isterica preferisce affidarsi alla sua specialità: la pseudo maternità ipertesa.



Questa apparentemente innocua patologia, dicevamo, la porta non ha simulare per mezzo di esteriorizzazioni fisiche un concepimento, fase questa piuttosto faticosa ed a dirla tutta piuttosto noiosa, bensì ad appropriarsi del frutto di concepimenti altrove accaduti subentrando in forma repentina e senza dar segno alcuno di tentennamento nell’allevamento e la crescita dell’impubere prescelto.

Il punto è che perfino in Brasile appropriarsi di un essere umano in fasce può dare qualche grana e quindi la mia equilibratissima consorte, senza battere ciglio, ha disinvoltamente deciso di rivolgersi al mondo animale senza tuttavia rinunciare alla prerogative educative spettanti ad una mamma e senza dunque accontentarsi di quelle basilarmente competenti ad una mammifera.

Ottimisticamente credevo che Giancarla, essendo stata colpita dalla pseudo maternità ipertesa in forma molto aggressiva ai tempi in cui sottraemmo ad uno scatolone Gasperino, fosse ormai immune a ricadute ed invece ecco che, mentre facevo quei pensieri circa la serenità e la pace e tutti e due ce ne zoppicavamo allegri lungo la familiare segunda praia, che ti vedo arrivare al nostro cospetto?

Una bambina che, sotto un sole rovente trascinava ed offriva per pochi denari uno dei due cuccioletti di una misteriosa figliata nella sua disponibilità; cuccioli di cane, off course, che puzzano molto peggio dei gatti.

Si chiama Cajù, come la castagna che si trova in cima al frutto della Cajà (viva la fantasia bahiana),buonissima se tostata ma altamente tossica se non trattata adeguatamente.


Non intendo aggiungere altro per il momento se non che il nome l’abbiamo azzeccato.

Solamente posto una foto di Giancarla durante uno dei suoi attacchi: siamo alla riapertura delle scuole, con lei che cerca di farlo accettare nel piccolo asilo municipale appena aperto alla Fonte Grande, sotto gli occhi increduli delle maestrine.

Per fortuna c’era anche il nostro amico Sebastian, già precettore di Gasperino, che portava all’asilo la bellissima Petala, figlia della sua ragazza Morgana.

Questi, capendo la situazione, ha convinto Giancarla circa l’opportunità di dare una formazione multiculturale e più completa al piccolo Cajù insegnandogli in casa ed evitando di fargli perdere tempo nelle notoriamente inefficienti strutture pubbliche locali. E così anche stavolta ce la siamo cavata dando uno scandalo tutto sommato contenuto.



Ora capite perché non scrivo. E’ che c’è anche la vergogna alle volte…

Ma che ci volete fare, questo è il Morro De Sao Paulo e noi siamo fatti così!


Anzi, per citare il grande Groucho Marx,


“questi sono i nostri princìpi!


Ma se non vi piacciono ne abbiamo degli altri.”


Quindi restate sintonizzati che troppo c’è ancora da scribacchiare!


Baci e viva la vita!


E.


1° p.s.: per Mila, mi ha commosso vederti, sei bellissima, fantastica la pancia, tel’ho detto, una gran ficata, soltanto un po’ meno orgoglio per le tette che sono dopate.


2°p.s.: per il caro vecchio Piero Cacini, da ‘na lucidata agli ottoni Caci’ che mo te faccio vede che tiramo su da ‘sti pizzi! Cmq, per la cronaca ora spengo il pc e, come quasi tutti i giorni, vado a fa’ ‘na capatina davanti al mio bigonzo immaginario! Tu hai capito, ti voglio bene, a presto. E.


3°p.s.: nelle foto e nel filmato che seguono: arrivano i primi clienti al bar… speriamo siano italiani almeno mi faccio raccontare dei funerali di Vianello in diretta su rete quattro col maxi schermo accanto alla bara e la gente che fa le foto coi telefonini ai vip in passerella. Cazzo mi sono perso un evento socio-mediatico di portata epocale,volevo esserci il giorno in cui fossimo caduti così in basso….(W Monicù, poi ne parliamo de sta cosa,voi intanto resistete sempre!!!).




1 commento:

Anonimo ha detto...

Gianca sei sempre bella!!! (nonostante le cattive compagnie!!)
Cajù è fantastico .... sul mio facebook trovate la bella Doris ... sono felice di sentirvi felici... un bacio grande
M.